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Storia

PIEDIMONTE SAN GERMANO IN UNA SUPPLICA A PIO XII

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Devo alla cortesia del caro Claudio Pompilio la segnalazione di un fascicolo conservato presso l’Archivio Vescovile di Sora, (Fontevecchia Miscellanea, fasc. 11, Piedimonte) illuminante per ricostruire la vita sociale e spirituale di questo centro nei mesi immediatamente successivi alla liberazione avvenuta ad opera del contingente polacco guidato dal generale Anders.
Cronologicamente il materiale preso in esame interessa l’ultimo trimestre del 1944 e vede protagonisti Pietro Aceti, segretario del Partito Democratico Cristiano di Piedimonte San Germano, il locale sindaco Pasquale Pelagalli, mons. Michele Fontevecchia – indimenticato vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo – e Giovanni Battista Montini, allora con mons. Domenico Tardini il più stretto collaboratore di Sua Santità Pio XII, poi asceso al soglio pontificio con il nome di Pio VI. Il Montini faceva parte dello staff della Segreteria di Stato fin dal 1924 quando è documentato con la qualifica di “aiutante mentre, tredici anni più tardi, verrà promosso a “sostituto”.

Pietro Aceti e Pasquale Pelagalli chiedono al vescovo il trasferimento del parroco, don Gaetano De Paola

Il 7 ottobre 1944 il sopracitato Pietro Aceti si rivolge al vescovo Fontevecchia comunicando che

« i terribili recenti eventi bellici hanno ridotto Piedimonte S. Germano un cumulo di macerie; un decimo della popolazione ha pagato con la vita questo tremendo flagello. I miei concittadini, la maggior parte dei quali è vissuta sui monti vicini fra stenti inauditi per sfuggire alla ‘caccia all’uomo’ ed alla deportazione organizzata dai discendenti di Attila, e che è rimasta, dall’ottobre 1943, senza l’assistenza morale di un Ministro di Dio, avrebbero avuto bisogno dopo il passaggio delle Truppe Alleate e dopo il ritorno alle loro case depredate e distrutte, di un’assistenza più che paterna, che avesse abbracciato tutti i campi della vita sociale, da parte del parroco Don Gaetano De Paola. Invece la realtà è stata ben diversa: il paese distrutto non era più il luogo dove si va a fare fortuna; la gente impoverita dalla guerra non era più una mucca da mungere bene. Ed allora Don Gaetano De Paola ha preferito prendere il volo e ritornare a vivere ad Alvito nelle agiatezze che può offrire una casa rimasta incolume dalla guerra con le prebende accumulate in 14 anni di…… sacerdozio pedemontano!…..».

L’Aceti continua ricordando come tale avvenimento abbia contribuito a creare tra la popolazione un forte clima di “malcontento e diffidenza verso la religione” non potendo la stessa contare sull’assistenza spirituale del De Paola. Dall’opera di Raffaele Nardoianni, Piedimonte San Germano nella voragine di Cassino, Piedimonte San Germano 2004 (rist. anast. dell’ediz. Cassino 1950) apprendiamo, però, che nei mesi finali del 1943 il sacerdote era ben attivo all’interno del suo gregge vivendo nella Grotta di Sant’Amasio e celebrando la Messa di Natale nella Parrocchiale di Santa Maria Assunta. In questo periodo fu, più volte, oggetto di scherno e di umiliazioni da parte dei tedeschi che l’obbligarono anche ad effettuare duri lavori di tipo manuale. Sempre in questo lasso di tempo perse, come ricorda sempre il Nardoianni, anche il padre. Dalla lettura della stampa quotidiana dell’Urbe si rileva che, successivamente, il De Paola abbia trovato rifugio a Roma ove cercò, nel limite delle possibilità consentite in quelle drammatiche circostanze, di mantenere unito e compatto il gruppo dei profughi pedemontani confluiti nella Capitale. Nella parte finale della lettera, recante il n. 6 di protocollo, l’Aceti, dopo aver esclusa la possibilità di un rientro del De Paola nella propria sede, sollecitava il Fontevecchia ad “inviare un nuovo Parroco, che sia veramente Ministro di Dio, desideroso di mettersi al servizio dei cattolici pedemontani per la ricostruzione morale e materiale del paese”.
Due giorni dopo sarà il sindaco Pasquale Pelagalli a scrivere al Pastore una lettera circostanziata ed equilibrata che si apre con il ricordo del triste destino abbattutosi sul centro:

«La popolazione, perseguitata dai nazistifascisti e seviziata dai tedeschi, dopo una lunga sosta sul monte Cairo, dove incontrò duri patimenti, raggiunse i punti più disparati del territorio della Provincia e fuori. Liberato il Cassinate, la popolazione, che ha dato un largo contributo di vittime e di mutilati, è tornata in paese, desiderosa soltanto di trovare asilo nella terra natia.
Già 2100 persone sono alloggiate nelle case danneggiate della campagna, colpite dalla malaria, e quasi non bastasse tanto Calvario, mancano del loro capo spirituale».

La missiva si conclude stigmatizzando il comportamento del De Paola che “pur tanta messe di ricchezza ha mietuto in 12 anni di parroco di S. Maria Assunta” e sollecitando “l’assegnazione di un nuovo Parroco”.

Pietro Aceti Scrive al Papa

La penultima lettera individuata risale al 21 ottobre e fu inviata dall’Aceti al Santo Padre. Tale supplica, recante il n. 9 di protocollo, ci è nota come “inserto” – da intendersi allegato – alla comunicazione del Montini con l’esame della quale concluderò questa breve nota. Estrapolo da essa alcune notizie che confermano il clima di terrore, miseria, scoramento ed abbandono nel quale vissero gli abitanti di Piedimonte San Germano durante tutto il 1944. I morti ammontarono a circa un decimo della popolazione senza, naturalmente, contare le vittime causate dallo scoppio degli ordigni inesplosi che costituirono un drammatico e doloroso stillicidio anche negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto. Coloro che sfuggirono allo sfollamento si rifugiarono “nelle rare case e nelle spelonche delle vallate del massiccio di Monte Cairo” subendo razzie di ogni genere da parte dei tedeschi paragonati dallo scrivente a “nuovi discendenti di Attila, che tanto hanno tenuto alto in Patria la fama e il terrore dei loro progenitori -”. Il testo continua con un rapidissimo cenno allo sfollamento coatto in Calabria (soprattutto nella provincia di Cosenza) di numerosi pedemontani e con il tracciare un quadro della durissima vita alla quale erano condannati i pedemontani rimasti nel paese o liberati dagli Alleati. Infatti i cittadini sono « alloggiati in abitazioni semidiroccate e senza imposte; circa l’80% della popolazione è colpita dalla malaria; tutti girano scalzi e con le vesti discinte; i loro visi pallidi e macilenti rispecchiano i dolori e le privazioni a cui sono soggetti – Tanta desolazione è dovuta anche al fatto che il servizio degli approvvigionamenti non funziona quasi affatto: nel mese di settembre il pane ci è stato assegnato soltanto per sedici giorni, in questo mese siamo senza pane del 10 scorso – Ciò ha molta influenza sul fisico delle persone anche perché tutta la zona quest’anno non ha prodotto nulla, né si prevede un raccolto per il prossimo anno dato che essa rigurgita di mine e proietti inesplosi -». L’Aceti ricorda poi come il vescovo mons. Michele Fontevecchia fosse già stato messo al corrente « che la popolazione desidera un nuovo Parroco, che ha designato nella persona di Don Benedetto Aceti, attualmente a Casalattico, della Diocesi di Sora, il quale interpellato in merito, ha espresso il suo desiderio di venire a vivere la nostra stessa vita di patimenti e di disagi per il bene delle anime nostre -».

Mi piace, qui sottolineare la scelta del participio passato “designato” che sembra sottointendere il volere, direi assembleare, della Comunità di Piedimonte San Germano di avere come guida spirituale don Benedetto Aceti, probabilmente, nativo di quello che fu, con Pontecorvo, uno dei due capisaldi della Linea Hitler o Senger.
L’estensore della supplica esorta poi Pio XII, il defensor Urbis per eccellenza, “ad inviare viveri per la popolazione, in modo da distribuire, almeno ai bambini, una minestra calda giornaliera”, a far pervenire “sussidi e pacchi di vestiario da assegnare ai più bisognosi” ed intervenire opportunamente per facilitare l’iter della nomina del nuovo parroco.

Mons. Monti scrive al vescovo Fontevecchia

Concludo con la lettera della Segreteria di Stato a firma di G.B. Montini al mons. Fontevecchia, vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo, contenente parole rassicuranti circa l’invio degli aiuti umanitari per i sopravvissuti al secondo conflitto mondiale e l’esortazione ad un “premuroso interessamento” per quanto riguarda la risoluzione del problema legato all’assistenza religiosa.

 

Pubblicato nell’edizione cartacea, Il Cronista n.0/2004

Nato a Roma nel 1952 si è laureato con il massimo dei voti in epigrafia ed antichità latine presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza frequentando poi la scuola di perfezionamento di Archeologici classici presso l’Università di Pisa. Eugenio Maria Beranger è stato un grande studioso, rigoroso e appassionato che ha indagato e studiato con passione per 40 anni l’intero patrimonio storico-artistico demoantropologico con minuziose ricerche archivistiche. E’ stato folgorato dalla bellezza e dalla ricchezza del patrimonio storico dell’Alta Terra di Lavoro, che corrisponde a parte dell’attuale territorio del Lazio Meridionale, parte della Campania e dell’Abruzzo quando giovanissimo ha discusso la tesi di laurea sul patrimonio epigrafico dell’antica Arpinum. Studioso rigoroso poliedrico, iniziò ad occuparsi di quest’area del Lazio Meridionale nel 1974. Ha operato in numerose ricerche di superficie rivolte all’individuazione di epigrafi latine, monasteri benedettini, sorti nell’area di precedenti insediamenti o luoghi di culto italico-romani e di architetture di tipo agro-pastorale. Poi la sua indagine storico-archivistica si allarga ad altri settori:’ problematiche connesse con gli eventi naturali quali il terremoto di Sora del 1915 e l’innondazione del Liri del 1925, studio dei catasti e dei cabrei, l’approfondimento delle tradizioni popolari e trasformazioni del patrimonio edilizio tramandato dall’antichità, lo studio delle tecniche edilizie per aiutare e tutelare i centri storici, a storia del fascismo e della provincia di Frosinone. Ha dedicato grande attenzione allo studio dello sfollamento e al dramma della popolazione civile del cassinate. Ha partecipato a numerosi convegni, in cui ha trattato con rigore e inedite ricerche archivistiche temi sconosciuti ma di grande interesse. E ‘ stato protagonista nella creazione di alcuni musei e biblioteche civiche quali Arce Atina, Civitella Roveto, Cupra Marittima, Sora. Ha collaborato con i più importanti istituti scientifici, quali Accademia dei Lincei, Archivio di stato di Grosseto, Roma, Frosinone e altre istituzioni. È morto a Roma il 9 gennaio 2015.

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