Scaffale
Piedimonte San Germano e la Madonna di Canneto
Si propone di seguito parte del testo letto l’11 gennaio 2014, da Eugenio Maria Beranger in occasione della presentazione del libro di Elena Montanaro, Piedimonte San Germano e la Madonna di Canneto, Edizioni Eva 2014. La manifestazione si è svolta presso la parrocchia di Santa Maria Assunta a Piedimonte San Germano Superiore. Il testo riprodotto nelle pagine de Il Cronista è ridotto per esigenze editoriali, per leggere il discorso integrale si rimanda a Eugenio Maria Beranger, Curiosus Terrae Laboris. Articoli, ricerche, discorsi, bibliografia completa. 1975-2015, Associazione Antares 2016, pp. 262-286
Ritornando al volume che oggi ci vede riuniti [Elena Montanaro, Piedimonte San Germano e la Madonna di Canneto, Edizione Eva 2014, ndr] esso permetterà ai membri della Comunità di Piedimonte San Germano di conoscere la storia del culto alla Vergine di Canneto e le sue ripercussioni sul territorio ed agli studiosi di avere un prezioso strumento di lavoro nel quale il fenomeno “Canneto” non sia visto unicamente con l’occhio di un religioso (mi riferisco alle insostituibili opere di mons. Crescenzo Marsella ed a quelle più recenti di mons. Dionigi Antonelli, scriptor maximus del Santuario) o di studiosi di estrazione marxista (Annabella Rossi) o da persone estranee e lontane dalla religiosità della Diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo e con retroterra di carattere bibliografico assai carente (mi riferisco agli studi di Andrea Benassi, Emilio Di Fazio, Vincenzo Padiglione ed Antonio Riccio) ma dall’interno di una delle Comunità, per tradizione, protagonista del pellegrinaggio agostano. E in tal senso lo studio della Montanaro va inserito nel contesto delle indagini condotte da Annalisa Copiz, dall’ottimo Fabio Simonelli, da Tommaso Di Nallo, il primo per quanto a mia conoscenza a tratteggiare le vicende di una compagnia: quella di Aquino, che possiamo definire rivale storica della pedemontana, e dal sottoscritto.
Nella premessa l’Autrice indica immediatamente al lettore le motivazioni del suo lavoro: il desiderio “di entrare nel profondo del culto mariano di questa Comunità e nell’evento pellegrinaggio, che rappresenta uno degli aspetti più evidenti di tale culto” a Piedimonte San Germano e negli altri centri delle Province di Frosinone, Isernia, L’Aquila e Latina i cui abitanti, ancora oggi, raggiungono, spesso a piedi, Canneto.
Tali finalità emergono chiaramente fin dall’esame della stessa copertina ove sulla prima di copertina è riprodotta una cartolina illustrata, risalente agli anni immediatamente precedenti il Secondo Conflitto Mondiale, caratterizzata dalla veduta del Santuario immerso nei monti e sormontata, nell’angolo di sinistra, dalla figura della Vergine Bruna inserita in un tondo.
Sul retro, in un chiaro slancio ascensionale e di devozione e di completo affidamento di un popolo alla Madonna, appaiono i tre stendardi della Compagnia, il più antico dei quali risalente al 1941 e caratterizzato dalla Vergine Bianca di Settefrati, il secondo al 1954 ed il terzo realizzato venti anni dopo. Al disopra di essi tre immagini della testa lignea della Vergine rispettivamente al naturale, con la parrucca e con la corona aurea regale.
Nove gli obiettivi alla base del suo lavoro; particolarmente interessanti mi sono apparsi i punti d: “cogliere le motivazioni e gli aspetti del fenomeno-pellegrinaggio a piedi (e non) del pellegrino pedemontano, sia nel tempo passato sia nel contesto attuale di post-modernità, individuandone i cambiamenti”; f “rilevare l’esigenza della continuità devozionale e la trasmissione dei ruoli dei protagonisti alle successive generazioni”; h “comprendere ed esprimere il bisogno dei pellegrini di interrompere la quotidianità alla ricerca di un tempo diverso, il tempo della festa e della gioia interiore per aver raggiunto il traguardo desiderato, per aver toccato il “Cielo”, dopo un cammino penitenziale alquanto difficoltoso, incontrando di nuovo Lei”.
La ricerca è stata condotta in un arco di tempo considerevole (dal 2007 al 2013) e, già questo dato è significativo dell’attenzione e della cura con la quale l’A. si è dapprima avvicinata all’argomento per poi trattarlo e dar vita ad un testo che, a mio modesto giudizio, può costituire un valido esempio al quale ispirarsi da parte di auspicabili ulteriori ricercatori che vogliano tratteggiare la storia di altre grandi Compagnie laziali e molisane.
L’indagine, come affermato dalla stessa studiosa, si è protratta
con fasi di impegno profondo e proficuo alternate a momenti di dubbio e di incertezza, dovuti questi ultimi sia a ragioni di ordine logistico riguardanti la raccolta di dati orali e scritti, sia all’assenza totale per Piedimonte San Germano di un bibliografia locale relativa al tema trattato.
Inoltre, fatto questo che indica la grande onestà culturale dell’Autrice, di grande ausilio le sono stati i colloqui con mons. Dionigi Antonelli, sempre prodigo di consigli e suggerimenti, con Romina Rea, bibliotecaria presso la Biblioteca Diocesana “Cesare Baronio”, con Rocco Del Duca, compianto vice priore della Compagnia scomparso nel gennaio del 2012, con Giuseppe Spiridigliozzi e Salvatore Delicato altri due elementi di spicco all’interno della Compagnia.
Nella parte conclusiva della Premessa, la Montanaro ringrazia anche i suoi due nipoti Orlando Montanaro e Lucia Plazzotta che hanno collaborato nelle varie fasi di trascrizioni del testo, all’impaginazione del volume ed alla correzione delle bozze. Un bell’esempio di cooperazione fra generazioni diverse che tanti ricercatori di storia locale hanno, senz’altro, più volte desiderato.
Il primo capitolo, dedicato a “Il Santuario e la Valle di Canneto nello spazio e nel tempo”, si apre con un preciso inquadramento topografico del sito posto a confine con l’Abruzzo ed il Molise, in una posizione paesaggistica incredibile ed a stretto contatto con le sorgenti del fiume Melfa, purtroppo, snaturata e deturpata in seguito alla decisione di captare le sue acque per garantire il rifornimento idrico al Cassinate ed al Basso Garigliano.La Valle di Canneto costituisce una vera e propria perla all’interno della Valle di Comino che, in Alvito ed Atina, ha i due centri di maggiore rilevanza. Considerata fino a pochi anni fa un’area di scarso interesse storico-artistico, la Valle si è, invece, rivelata un giacimento culturale di primaria rilevanza grazie ai ritrovamenti vascolari dell’età del Bronzo e del Ferro (agro di Alvito), ai circa settanta reperti bronzei risalenti all’VIII-VII sec. a.C. di Atina − fra i quali emergono frammenti di tripode, bracciali graduati, fibule e figurine zoomorfe ed umane ora conservate nel Museo Pigorini di Roma, alle complesse difese in opera poligonale di Atina ricondotte dagli studi più recenti al mondo sannita, allo scavo di Pescarola (Casalvieri) – sito individuato da padre Michele Jacobelli − con i suoi votivi italico-romani che attendono ancora di essere adeguatamente esposti nella loro complessità e le monete d’argento di Phistelia, città italica nota solo attraverso la monetazione, alla centuriazione di epoca romana.
Passando ai periodi successivi non si possono trascurare le numerose presenze benedettine ben studiate da mons. Dionigi Antonelli, le testimonianze difensive dell’età di mezzo (Alvito, Atina, Picinisco – degno di nota qui anche l’insediamento abbandonato di Rocca degli Alberi –, Vicalvi e Villa Latina con il suggestivo abitato di Rocca Malacucchiara distrutto alla metà del XV sec. e che attende ancora una campagna di scavo), le prime manifestazioni della civiltà industriale (Rosanisco ad Atina e le miniere di limonite a Canneto) ed alcuni importanti manufatti riconducibili alle forme devozionali pagane (Ercole, Marte Numiterno, Mefite etc.) e cristiane (San Donato, San Gerardo, San Marco, San Pietro, San Valerio, Santa Felicita, Sant’Onorio etc.).
Quindi l’Autrice esamina la celebre iscrizione con la dedica a Mefite posta dai due liberti: Numerius Satrius Stabilio e Publius Pomponius Salvius, di cui purtroppo ancora non si conosce il suo esatto luogo di ritrovamento ed i votivi tornati alla luce in occasione dei lavori di captazione delle acque del Melfa: monete di zecche di città campane e votivi in terracotta, alcuni dei quali dal modellato alquanto semplificato e lontano dalla tradizione di gusto ellenistico.
Il primo sicuro documento relativo alla presenza di una comunità religiosa a Canneto risale al 1288 ed è costituito dal rescritto del papa Niccolò IV (1288-1292) dal quale si desume l’esistenza di una comunità monastica benedettina accanto alla chiesa di Santa Maria dalla quale il monastero derivò il nome. È evidente, quindi, che il culto della Vergine è nella Valle precedente alla fine del XIII secolo e va pure notato che altri documenti retrocedono tale culto al 715, al 775 o all’819 ma non vi è accordo, tra gli storici, sulla autenticità di essi.
Il monastero, fra la fine del XIII-inizi del XIV secolo, dovette godere una fase particolarmente felice dal momento che i monaci pagarono nel biennio 1308-1310 considerevoli decime papali.
Come tanti altri edifici sacri della nostra Diocesi la sua storia è un susseguirsi di ombre e di luci: il 28 settembre 1392 i monaci, lasciate le sorgenti del Melfa, si trasferirono nell’abitato di Settefrati mentre il 25 novembre del 1475 i cardinali Bartolomeo Roverella e Giuliano Della Rovere, titolari a Roma, rispettivamente, di San Clemente e di San Pietro in Vincoli, concessero un’indulgenza di cento giorni ai frequentatori della chiesa di Canneto divenuta ormai possesso del cenobio di Montecassino sotto la cui proprietà resterà fino al 1569. A partire da tale data esso è affidato alle cure del clero secolare diocesano.
Molto ben congegnato è il capitolo quinto intitolato “Gli ex voto del Santuario di Canneto e dei devoti di Piedimonte San Germano” nel quale la Montanaro ci offre delle pagine ricche di pathos e assai ben documentate grazie al sapiente e combinato uso di fonti di vario tipo comprese quelle giornalistiche.
Il Santuario di Canneto, fino agli anni settanta del cessato secolo, conservava un numero veramente imponente di ex voto (foto di soldati della Seconda Guerra Mondiale, immagini di emigrati, bastoni, stampelle artigianali, scarpe ortopediche, cinti per l’ernia, vestitini di battesimo, vestiti della Prima Comunione e matrimoniali, tavolette votive lignee o in lamiera, fucili scoppiati etc., purtroppo tutti in gran parte andati dispersi.
Solo recentemente l’ottima Elisabetta Silvestrini ne ha presi in esame alcuni nel suo articolo “Doni per la vita, doni per la morte. Il Corpus votivo del Santuario della Madonna di Canneto di Settefrati” in Nel Lazio. Guida al patrimonio storico artistico ed antropologico, Roma 2010 evidenziando che gli esemplari dipinti su lamiera trovano forti analogie con quelli visibili nei Santuari di San Gerardo a Gallinaro e di San Donato a San Donato Val di Comino al punto da ipotizzare che essi siano opera di un solo artista. Si tratta degli unici ex voto precedenti al Secondo Conflitto Mondiale ancora conservati nel Santuario, importanti testimonianze sopravvissute di un ricco patrimonio storico-artistico-devozionale fatto, colpevolmente, deperire e poi perire. E in ciò calpestando, ciò che è più grave, i sentimenti dei devoti che li avevano offerti con grande trasporto e con indescrivibili sacrifici.
Fra i numerosi ex voto presentati nel volume ne segnalo tre per il loro alto significato: il primo è costituito da una lastra di rame sbalzato incorniciata e riproducente, come si legge nell’iscrizione apposta nella parte inferiore della lamina uno “Scontro a fuoco tra / Carabinieri / e malviventi / avvenuto a Canneto / il 13.11.1980”. Si trattò di un gravissimo atto di terrorismo compiuto da quattro membri dell’Autonomia Organizzata ai danni di tre carabinieri dopo una rapina effettuatta dagli stessi terroristi in un Istituto di Credito di Civitella Alfedena. Un terrorista, Claudio Pallone, morì sul colpo mentre il carabiniere Antimo De Crescenzio fu decorato con medaglia d’Argento al Valor Militare per il coraggio dimostrato nell’episodio.
Un grande valore ideale è insito nell’offerta dell’organo da parte di Giuseppe Pittiglio di Cassino, ma ormai emigrato a Detroit, che si rese protagonista di una sottoscrizione fra emigrati italiani alla quale aderirono, come si evince dalla lunga iscrizione su elegante marmo nero apposta sulla parete di sinistra entrando del Santuario, anche emigrati provenienti da altre Nazioni.
Il terzo ex voto riguarda una donna indemoniata di Vallemaio che, oltre ad offrire alla Vergine la sua foto, dona quattro chiodi arrugginiti, due spille e due “ciuffi di capelli arruffati” usciti dalla sua bocca, purtroppo, in circostanze non meglio precisate. Non è il solo caso di donna “affatturata” devota della Madonna di Canneto che restituisce in terra grumi di capelli attorcigliati ed altri oggetti come ben ricordato dalla Montanaro alla p. 185 nota 35.
Per quanto riguarda gli ex voto dei pedemontani non posso non concordare con quanto affermato il 7 febbraio 2011 da mons. Antonelli nel corso di un’intervista concessa ad Elena e riportata a p. 187 del volume: “l’ex voto più grande, più sentito e più duraturo nel tempo, dei devoti di Piedimonte, sia il pellegrinaggio annuale stesso, che da secoli essi ripetono”.
Un intero capitolo, il terzo, è dedicato dalla Montanaro al Comitato Festa Madonna di Canneto di Piedimonte San Germano che si è assunto, in primis, il non facile compito di organizzare il pellegrinaggio a Canneto nei giorni 18-23 agosto di ogni anno che termina con la tradizionale festa di ritorno tenuta nell’area della chiesa di Santa Maria Assunta a Piedimonte San Germano Superiore.
Durante l’anno i vari membri del Comitato, suddivisi per zone, sono impegnati nella raccolta dei soldi necessari per organizzare detta festa famosa per gli spettacolari fuochi d’artificio che rivaleggiano con quelli predisposti a Settefrati, per le luminarie della parte alta del paese, per l’intrattenimento musicale in Piazza Vittorio Veneto che ha inizio subito dopo la celebrazione liturgica e l’impartizione della benedizione ai pellegrini ed ai familiari rimasti a Piedimonte San Germano.
In questi ultimi anni il Comitato Festa Madonna di Canneto si è impegnato a versare un contributo finanziario al locale gruppo della Protezione Civile, alla Croce Rossa di Piedimonte San Germano, alle parrocchie di Piedimonte San Germano Superiore e Inferiore ed alla Direzione del Santuario di Canneto.
Fra le spese extra sostenute dal Comitato va inserita quella verificatasi nel 2006 e riguardante l’acquisto della nuova statua della Madonna di Canneto col Bambino realizzata nei primi mesi del 2006 dallo scultore Antonio Maturo di Pietrelcina (Benevento) e benedetta il primo maggio dello stesso anno a Canneto dall’allora vescovo della Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo mons. Luca Brandolini.
La Madonna è raffigurata seduta con il Bambino in trono privo di spalliera e poggioli. Entrambi sono neri ed iconograficamente ricalcano la statua di Canneto. Si tratta di una scultura di modeste dimensioni ed adatta ad essere agevolmente portata a spalla in processione. Ed il pensiero immediatamente corre al trono voluto, per la Madonna della Figura nella Selva di Sora, dagli emigrati della Media Valle del Liri in Toscana e realizzato dal maestro Alfonso Capocci di Settefrati. La statua della Madonna è dotata di due mantelli di stoffa impreziositi da ricami realizzati dalle benedettine del monastero di Sant’Andrea al Colle in Arpino, monache ben note per la loro bravura nell’arte del ricamo.
Il Comitato, come ben ricostruisce Elena, è costituito da soli uomini (forse sarebbe giunta l’epoca di garantire anche qui la famosa “quota rosa”), il cui numero varia di anno in anno attestandosi su circa venti elementi che si auto propongono dichiarando fin dall’inizio il ruolo e le mansioni capaci di svolgere; tuttavia la parola decisiva spetta sempre ai membri anziani. Mi sembra un ottimo esempio di democrazia partecipativa che potrebbe essere ripreso anche da altre Associazioni.
Il Comitato si riunisce almeno sei volte l’anno col priore e almeno due volte con il rettore del Santuario di Canneto per organizzare al meglio non solo il pellegrinaggio agostano ma anche quello del primo maggio svolto in pullman e in auto.
Un’altra caratteristica del Comitato è che ogni membro resta in carica per tutta la vita; solo in caso di grave malattia o di morte, egli è rimpiazzato da un altro devoto alla Vergine a condizione che sia stimato e benvoluto dall’intera Comunità.
Il Comitato è guidato dal priore che non agisce mai senza consultare gli altri membri del Comitato e, come ricorda la prof.ssa Montanaro, “svolge dei ruoli, tacitamente a lui riconosciuti, senza che vi sia un regolamento scritto, che a tutt’oggi non esiste” ed è presieduto dal parroco delle due Parrocchie di Piedimonte Superiore e Inferiore.
Non sappiamo a quale epoca risalga il più antico Comitato ma, dalla tradizione orale, emerge come primo ed indiscusso priore Agostino Testa che seppe raccogliere intorno a sé, forse anche sull’esempio di altre Compagnie, i fedeli di Piedimonte San Germano ricevendo “una forma di investitura ufficiale, in quanto riconosciuto capogruppo e approvato nel suo còmpito dall’arciprete don Gaetano De Paola (1930-44)”.
Egli rimase priore fino alla morte avvenuta nel 1983; a lui vanno riconosciuti alcuni meriti quali l’essere stato, in primo luogo, priore riconosciuto, benvoluto e approvato ufficialmente con nomina dell’arciprete don Giovanni Costantini, presidente di diritto del Comitato Festa Madonna di Canneto e del pellegrinaggio.
Agostino Testa commissionò, nel 1941, il primo stendardo a noi noto con l’effigie della Madonna (ricordiamo come questo anno sia stato determinante per le sorti delle Armi italiane sconfitte, definitivamente, nell’Africa Orientale e le grandi difficoltà in Libia, Jugoslavia, Grecia e Russia) e provvide, nel 1974 a far realizzare la prima statua della Madonna di Canneto. In cartapesta fu modellata da Giuseppe Bellini, del quale la prof.ssa Montanaro non ha saputo reperire ulteriori notizie. Per sopraggiunta morte, l’artigiano non potè ultimare il piedistallo; vi pose mano, completandolo, mons. Costantini che poi posizionò la statua sul portico della facciata anteriore della Parrocchiale di Santa Maria Assunta in Piedimonte San Germano Superiore in modo che fosse ben visibile da quanti si avvicinassero all’edificio di culto.
Attualmente il simulacro è ospitato nella cappellina sita in Viale Guglielmo Marconi, 13 edificata nel 2012 da Antonio Marchetti e caratterizzata anche da una bella iscrizione che riproduce due versetti del Salmo 45.
Ritornando al priore Testa, il suo merito maggiore fu quello di aver favorito – nonostante il parere sfavorevole dell’allora parroco don Benedetto Aceti – l’unificazione con la Compagnia creatasi per iniziativa di Rocco D’Aguanno nella parte inferiore dell’abitato che, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, andava sorgendo lungo la Via Casilina fatto questo che avrebbe, sicuramente, determinato nuove dolorose spaccature all’interno della Comunità di Piedimonte San Germano.
Più noto come “Roccuccio” o “zi Roccuccio, alla morte del Testa, diventerà nuovo priore. Egli è nel cuore di tutti voi presenti perché io parli della sua forte personalità e del buon campanilismo dal quale era animato. È sufficiente ricordare che nel 1975 portò a Canneto una Comunita di 300 fedeli e nel 1979 di 400 gareggiando, quanto a partecipazione di fedeli, con quella di Aquino.
Considerato il suo forte carattere ed alcune decisioni motivate dalla eccessiva devozione verso la Vergine Bruna ma che non potevano essere facilmente tollerate dalle autorità ecclesiastiche, come a ragione afferma la Montanaro, egli:
è stato “tollerato”, ma mai riconosciuto ufficialmente da mons. Giovanni Costantini, che tuttavia varie volte ha seguito i pellegrini in alcune tappe del viaggio per sollecitare la preghiera. Un anno, a suo dire, “per cristianizzare il pellegrinaggio”, inviò un missionario al sèguito della Compagnia, ma il capogruppo non ne voleva sapere, tuttavia lo accettò.
Un altro anno fu lo stesso Rocco ad invitare don Giovanni a celebrare la S. Messa a Canneto, nella cappella dei Salesiani dal momento che il Santuario era in ristrutturazione. I momenti di disaccordo si alternavano ai momenti di accordo.
Don Giovanni richiamava le donne cantanti affinché cantassero per intero l’inno di Aniceto Venturini alla Madonna di Canneto, oppure quello di Crescenzo Marsella; ma le donne hanno sempre continuato a cantare solo le prime strofe e, per di più, storpiate.
Alla sua morte avvenuta nel 2001 gli successe Salvatore Delicato, nipote del defunto priore e, quindi, membro di una famiglia che ha fatto della devozione alla Vergine di Canneto l’asse portante della sua esistenza.
Elemento caratterizzante della Compagnia è lo stendardo che la precede all’ingresso di ogni centro attraversato e di ogni chiesa nella quale i fedeli fanno l’ingresso. Il più antico fu comprato a Roma e raffigurava la Madonna Bianca che si venera all’interno della chiesa di Santo Stefano protomartire di Settefrati.
Il secondo stendardo della Compagnia pedemontana risale al 1954, fu commissionato dal priore Agostino Testa e da Rocco D’Aguanno ed acquistato a Roma. Questa volta l’immagine riprodotta è sicuramente quella della Madonna Nera resa in piedi, col Bambino sospeso davanti al Suo seno, ed inserita nel paesaggio della Valle di Canneto. Degna di nota è l’incoronazione della Vergine da parte di due angeli in volo. Essa richiama da vicino l’ incoronazione della statua avvenuta a Sora del 19 settembre del 1954, fuori la Cattedrale dedicata a Santa Maria ed a San Pietro, da parte del cardinale Benedetto Aloisi Masella originario di Pontecorvo.
Lo stendardo più recente venne confezionato nel 1974 in un laboratorio esistente nei pressi della Città del Vaticano e fu pagato lire 600.000 e, forse, va messo in relazione con le origini della tradizione del pellegrinaggio annuale a Canneto dell’1 maggio voluto proprio in quell’anno dal vescovo diocesano mons. Carlo Minchiatti.
Dal punto di vista iconografico lo stendardo riproduce la Madonna Nera di Canneto in piedi, con un fiore nella mano destra, avvolta in un’aura dorata, con le braccia aperte e il bambino sospeso in avanti all’altezza del petto. Intorno a Lei è riprodotta la celebre leggenda della fondazione del Santuario con la pastorella Silvana protagonista dell’invenzione della statua lignea.
È stata sempre prerogativa femminile portare lo stendardo della Compagnia racchiuso in un tubo cilindrico mentre le aste al quale esso viene appeso, una volta smontate, sono portate a spalla da un’altra persona devota.
Per tradizione fino agli anni settanta del cessato secolo è stato còmpito della signora Vincenza Bellini, portare il contenitore ed entrare in chiesa con lo stendardo. Dopo il suo decesso tale incarico è stato affidato a varie persone mentre, in epoca più recente, per coprire le otto tappe del pellegrinaggio si è ricorsi al sorteggio.
Altri elementi caratteristici della Compagnia sono il “crocifisso” di ottone affisso su una croce di legno ed il pannetto messo dietro il “crocifisso” come decorazione; si tratta di un triangolo di stoffa damascata d’oro su fondo rosso.
Dal 1990, essendo priore Rocco D’Aguanno, i componenti della Compagnia indossano, serrato al collo, un fazzoletto triangolare di cotone azzurro con impressa la scritta bianca: “Piedimonte S. Germano. Santuario di Canneto” e la raffigurazione del Santuario stesso.
Come si è detto non sappiamo a quando risalga il primo pellegrinaggio pedemontano a Canneto in quanto l’Autrice non ha potuto rintracciare l’epoca d’origine di tale manifestazione di fede. Sicuramente si tratta di uno dei pellegrinaggi più sentiti, affollati e più volte lodati dai rettori del Santuario e dai vescovi diocesani.
Allo stato attuale della documentazione finora edita, le processioni dei fedeli a Canneto sono documentate fin dal XVII sec. ed interessano in primis i fedeli di Picinisco e di San Donato Val di Comino; quest’ultimi, nel 1608, vi si recarono per implorare benefiche piogge mentre, al 1632, risale la più antica notizia della festa di Canneto inclusa nella relazione dell’arciprete Michele Cardelli di Settefrati a mons. Felice Tamburelli, vescovo di Sora.
Nel 1910 Achille Lauri, uno dei più attenti e qualificati studiosi del Sorano e della Valle di Comino, indica, fra i devoti di Canneto, i fedeli pedemontani al sesto posto, un dato significativo ma purtroppo non altrimenti verificabile.
Il periodo d’oro dei pellegrinaggi a Canneto furono senza dubbio gli anni immediatamente successivi al Primo Conflitto Mondiale ed il lustro compreso tra il 1945 ed il 1950. In entrambe le circostanze furono protagonisti i nostri soldati tornati dai vari fronti di guerra che andavano a ringraziare la Vergine per la protezione loro accordata, i prigionieri che, lentamente, rientravano in Italia e, soprattutto, le nonne, le mamme, le spose e le fidanzate che tanto attesero il loro ritorno ed implorarono la Vergine per la loro salvezza. Nella Seconda Guerra Mondiale non possiamo poi dimenticare gli sfollati, in gran parte trasferiti dai tedeschi anche coattivamente, dapprima a Roma e poi al Nord e, dopo il passaggio del fronte e la fine del conflitto, dagli alleati in Campania, Calabria e Sicilia.
Dalla lettura del volume conosciamo come fino alla Seconda Guerra i pellegrini seguissero un percorso diverso dall’attuale e che prevedeva, come già ricordato da Benedetto Sitari nella sua monografia su Piedimonte San Germano, l’attraversamento dei territori di Terelle e Belmonte Castello prima di arrivare ad Atina, congiungersi con la Sferracavalli, e proseguire per Picinisco e Settefrati. Oggi il “serpentone” dei fedeli, rigorosamente disposti su due file solo in occasione dell’attraversamento dei centri urbani, raggiunge, dapprima, Cassino per poi toccare Belmonte Castello ed Atina.
Una caratteristica del pellegrinaggio pedemontano a Canneto è costituito dai canti e specialmente dall’“Inno di Maria S.S.ma di Canneto” che, con il suo ritornello “Evviva Maria” è cantato durante tutti i cinque giorni del pellegrinaggio con una modulazione ed una forza emotiva del tutto particolari e direi uniche nella composita schiera delle Compagnie che raggiungono il tempio mariano. Determinante è tra le donne il ruolo della cantante voce-guida che Emilio Di Fazio così riassunse:
Particolare è la tipologia dell’emissione vocale che si può definire a gola tesa e che si riscontra nelle vocalità in uso anche nei canti popolari contadini dell’area […]
La voce tesa e gridata dalla cantante rientra nelle forme espressive tipiche che si registrano nell’area per le richieste di grazie rivolte direttamente durante le processioni delle varie divinità presenti nell’area (i vari santi e la Madonna secondo i diversi titoli locali).
Interessante, per il carattere fortemente iterativo e monotono, è il Canto delle dodici stelle che fa espresso riferimento al numero delle stelle che decorano, superiormente, la corona aurea posta, al pari di quella del Bambino, sulla testa della Vergine.
Alcuni brani canori sono in dialetto e fanno esplicito riferimento al suggestivo paesaggio montano che circonda il Santuario. È il caso di Arret a chella muntagna e Nu iam monti monti e, negli anni del Secondo Conflitto Mondiale questo canto privo di titolo: “I part Maronna mia / Ci parto a fa gliu soldat / Ci scrivo alla mamma mia / Che ti venga a vesità”. E il pensiero corre alle centinaia di foto di militari esposte, fin dalla Prima Guerra Mondiale, con grande devozione e umiltà, ai piedi del simulacro della Vergine e, purtroppo, andate totalmente perdute.
I canti mariani sono accompagnati, almeno dal 1968, da suonatori di vari strumenti. All’inizio erano ingaggiati a Villa Latina poi sono stati scelti fra gli abitanti di Piedimonte San Germano; il loro numero è lievitato nel corso degli anni fino a raggiungere, nel 2011, il numero di 20 unità (14 suonatori di fisarmonica, tre di tromba, 2 suonatori di sassofono ed un suonatore di organetto).
I pellegrini, lungo la loro marcia specie quando sono lontani dai centri abitati o percorrono gli aspri sentieri della montagna, cantano inni religiosi tipici di altre stagioni quali La palma e canzoni del repertorio tradizionale italiano quali Marina, Fin che la barca va, Quel mazzolin di fiori, Volare, Campagnola bella e Hully Gully o canzoni dialettali prima fra tutte La Pinozza o Pinotta, di cui è noto il carattere licenzioso, Lu maritiello e Calabrisella mia. Le stesse canzoni vengono ripetute dopo le cene effettuate intorno ai fuochi accesi nello spiazzo antistante le sorgenti del Melfa.
Elena restituisce un quadro veramente completo del pellegrinaggio soffermandosi anche su temi non affrontati da precedenti autori o solo toccati di sfuggita quale il mangiare dei pellegrini. Nel passato, arrivati a Canneto, erano soliti cibarsi con la composta, un saporito piatto preparato con peperoni sbollentati nell’aceto, tagliati a striscioline e conditi con olio, sale, aglio, origano ai quali, qualche volta, venivano aggiunti anche le nutrienti patate lesse alla base dell’alimentazione dei nostri agricoltori e pastori di media ed alta collina.
Si mangiava anche il pollo ed il coniglio con il pomodoro cucinato nella familiare tiana, un tegame di terracotta smaltato all’interno dotato di un lungo manico o di due piccole anse, spesso con depressione centrale, prodotte dalle botteghe artigiane di Pontecorvo. In alcuni casi si portavano all’interno di ceste in vimini polli vivi da mangiare sullo spiazzo antistante il Santuario dopo averli rapidamente immersi nell’acqua bollente per spennarli.
Una vignetta realizzata da Alfonso Capocci e pubblicata in Canneto 1946 in Settefrati (Frosinone), Isola del Liri 1947 oltre a documentare fedeli con ceste e polli sulla testa testimonia pellegrini con bastoni, rosari e cappelli conici ornati di fiori e di immaginette sacre avanzare su due file parallele ben ordinate.
Nel passato gli uomini portavano alcune pagnotte di pane infilate ad una cordicella disposta su una spalla così come facevano i braccianti che, dal Sorano, dalla Valle Roveto e dalla Valle Comino, si radunavano a Roma in Piazza Montanara alla ricerca di un ingaggio da parte dei caporali per dirigersi poi verso le Tenute dell’Agro Romano.
Mentre i pellegrini si recano, da epoca imprecisabile o da soli o in gruppi organizzati almeno due volte l’anno a Canneto, la statua della Madonna Nera – che una forte tradizione popolare voleva inamovibile dal Suo Santuario – fece visita ai fedeli di Piedimonte San Germano in due occasioni. La prima volta nell’àmbito dell’irripetibile Peregrinatio Mariae del 1948 che toccò la Val Comino, il Sorano, il Basso Liri, la Valle del Rapido e Cassino trovando Piedimonte San Germano ancora devastato dalla Seconda Guerra Mondiale. Rimando, per ulteriori notizie, alla cronaca scritta da Crescenzo Marsella ed apparsa sul Bollettino Ufficiale della Diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo ed agli scritti sull’argomento di Costantino Jadecola.
Fu, forse, in zona l’ultima grande manifestazione della religione cattolica in epoca precedente al Concilio Vaticano II e la dimostrazione di quanto fosse forte e radicato sul territorio il potere e l’influsso dei parroci che erano stati, a causa della totale assenza dell’Amministrazione statale, gli unici e veri defensores civitatum di fronte alle violenze ed ai soprusi dei numerosi eserciti stranieri presenti sul nostro territorio durante i nove mesi della Linea Gustav.
Nel 2000, in occasione della Peregrinatio Mariae avvenuta per il Giubileo, la statua fu trasportata su un’auto a Sora, Aquino e Pontecorvo (le tre sedi diocesane) passando per Piedimonte San Germano ove, come ricorda l’A., alcune bambine lanciarono petali di rose “sul simulacro al suo arrivo in paese e al suo veloce passaggio”.
I fedeli di Piedimonte San Germano oltre che per la Vergine Bruna, un tempo implorata familiarmente con gli epiteti di “Zingara” o di “Zingarona” sia per il colore nero del suo volto che per l’oreficeria che l’ornava (collane d’oro e di corallo rosso non lavorato in primis), si recano a Canneto nel giorno della festa di Sant’Anna (26 luglio), implorata dalle donne in attesa di partorire o sterili e la cui statua, voluta nel 1941 dall’eremita Santa Lanni, si trova nel piano inferiore del Santuario.
Il suo culto, anno dopo anno, sta diventando, come del resto nel Santuario della Santissima Trinità in Vallepietra, sempre più forte per cui ci è sembrata molto opportuna la decisione dell’allora rettore del Santuario mons. Dionigi Antonelli di allontanare il simulacro di Sant’Anna da quello della sua figlia. E ciò anche per evitare pericolose confusioni già presenti a Canneto dove ancora molti fedeli, specie anziani, non conoscono la differenza fra la statua della Vergine Bruna e quella Bianca venerata a Settefrati. Del resto il culto di Sant’Anna è antichissimo sia in Oriente che in Occidente come dimostrano gli splendidi affreschi di Santa Maria Antiqua in Roma raffiguranti, rispettivamente, Sant’Anna con la piccola Maria (parete occidentale del presbiterio) e databili al papato di Martino I (649-655) nonché quelli della nicchia con le “Tre Madri” della navata destra ospitanti al centro la Madonna con il Bambino, a destra, Sant’Anna con la Vergine Bambina e, a sinistra, Santa Elisabetta con Giovanni Battista. Essi risalgono all’epoca di Paolo I (757-767).
Sant’Anna da sempre protegge le giovani che desiderino diventare madri dai dolori del parto e dalla sterilità; nel passato, il 26 luglio i contadini di Piedimonte San Germano interrompevano i lavori dei campi ed in modo particolare la trebbiatura per andare a Canneto. È una tradizione questa che ritorna in altri centri della Terra di Lavoro, della Valle Roveto e della Marsica.
Ancora oggi alcuni devoti pedemontani legati alle attività agricole si recano al Santuario per partecipare alla Santa Messa mattutina per poi fare sùbito ritorno a casa e riprendere le fatiche interrotte.
Nel Bollettino del Santuario, fonte ampiamente utilizzata dalla Montanaro, più volte don Dionigi si sofferma sulla presenza dei fedeli pedemontani il 26 luglio.
Nel passato ho pensato che tale culto non avesse a Canneto radici profonde ma mons. Dionigi Antonelli, nella sua ultima fatica editoriale, mi ha clamorosamente smentito (ma questo è il bello della ricerca) retrodatando, sulla base di documentazione consultata presso l’Archivio Parrocchiale di Picinisco, al 1660 il primo documento in nostro possesso attestante questo culto.
Il culto della mamma della Madonna fu sicuramente alimentato nel corso di decenni dalle eremite e dagli eremiti che si sono succeduti a Canneto, una figura quella dell’eremita presente sia nei Santuari che in varie chiese extraurbane della Diocesi di Sora e che attende ancora di essere adeguatamente indagata e studiata. E ciò in considerazione del fatto che alcuni eremiti non erano regnicoli, provenendo da altri Stati pre-unitari della Penisola ed anche da oltralpe (specie dalla Francia). Ufficialmente si diventava eremita solo dopo avere ricevuto una patente da parte del vescovo; oltre a mantenere, decorosamente, l’edificio di culto, egli doveva preoccuparsi di accogliere degnamente i devoti e se, in prossimità di nuclei abitati, insegnare ai più giovani i primi rudimenti dell’istruzione scolastica e religiosa.
Fra le eremite conosciute dai pedemontani emergono Marianna Ferrante di Settefrati, detta Cornacchia, che pur di vedere realizzato il suo sogno di un Santuario ampliato, osò ricorrere al re delle Due Sicilie Ferdinando II (1830-1859) che fu ben lieto di esaudirla offrendo una campana e trecento ducati per i lavori. I lavori suddetti iniziarono nel 1857 ed alla loro ultimazione il prospetto principale della chiesa assunse l’aspetto attuale con il portico antistante con tre luci.
Altra eremita degna del nostro ricordo è la già menzionata Santa Lanni di Picinisco (1926-1943) e poi, dopo il passaggio del fronte, di nuovo, fino alla morte avvenuta nel 1945. Come risulta dalle testimonianze orali raccolte dalla prof.ssa Montanaro, Santa scendeva a Valle fino alla Casilina in occasione della trebbiatura del grano e della scartocciatura del granturco con il suo inseparabile asinello grigio munito di due grandi bisacce di iuta. In esse metteva il grano ed il mais donato alla Madonna battendo ara dopo ara tutto il territorio pedemontano (effettuava la cerca) che poi avrebbe venduto in favore del Santuario a mercanti di cereali.
Oltre alle due statue dedicate alla Madonna di Canneto a Piedimonte San Germano esistono alcune piccole cappelline e nicchie votive, tutte realizzate per iniziativa di fedeli, che molto opportunamente la Montanaro ha censito cercando di ricostruire le motivazione alla base della loro costruzione.
L’iniziativa è degna di grande considerazione ed elogio dal momento che lo studio di questo patrimonio artistico nella Diocesi di Sora è appena ai primi passi. Segnaliamo, in proposito, il volumetto di Patrizio Colucci su Civitella Roveto, le pagine dedicate al tema nel volume scritto a due mani da Romina Rea e Lucio Meglio per la città di Sora mentre, personalmente, sono molto legato a tre dipinti devozionali di grande significato lasciati deperire, purtroppo, dalle Autorità statali preposte alla tutela e dalla Commissione Diocesana d’Arte Sacra. Mi riferisco a San Cristofaro presente ad Arpino nei pressi della Porta del Ponte di fronte all’ex convento dei Padri Barnabiti ed a Caprile di Roccasecca nei pressi della Parrocchiale ed alla Madonna del Buon Consiglio a Morrea (frazione di San Vincenzo Valle Roveto).
In questa sede mi limito a citare alcune edicolette, cominciando da quella di Via Petrone 5 eretta nella primavera del 2008 come ex voto alla Vergine Nera per grazia ricevuta, da una bambina, Rosanna Marchetti, di appena anni 13, che, caduta in coma, fu trasferita in un Ospedale di Roma dove, nonostante i pareri dei medici, si salvò miracolosamente. I suoi genitori, molto devoti della Madonna di Canneto, hanno offerto come doni votivi al Santuario la fotografia incorniciata di Rosanna nel giorno della sua Prima Comunione ed il vestito indossato dalla piccola in quel giorno in modo che potesse essere donato a qualche bambina povera.
Sempre in via Petrone, la Montanaro documenta una seconda cappellina realizzata nel 1958 e fortemente voluta da Rosa Zonfrilli e dal marito per ricordare la scomparsa di tre figli durante la Seconda Guerra Mondiale (uno per malattia e gli altri due sul fronte dell’Africa Settentrionale). Nel suo interno vi è un piccolo altare sul quale è posta una statua in gesso della Madonna di Canneto, alla quale era molto devota la Zonfrilli. Essa fu fatta realizzare dall’allora parroco don Giovanni Costantini dal laboratorio di Arte Sacra “Rosa Zanasio”, sita a Roma nei pressi del Vaticano.
Davanti a questa cappellina per tutto il mese di maggio alcune pie donne sono solite recitare ogni pomeriggio del mese di maggio il Santo Rosario.
La cappellina di Via Leonardo ha una committenza sempre privata ma legata ad un gruppo di devote (Silvana Delicato, Anna Maria Giorgio, Rosa Scardone e Maria Vignola) che, nel 1999, diedero vita ad un piccolo Comitato per costruire, all’interno di uno spiazzo pubblico, una memoria dedicata alla Vergine di Canneto. Ad esse si affiancarono, dapprima, i mariti e, quindi, altri fedeli che, anche con l’ausilio di alcuni sponsor, poterono portare a compimento quanto desiderato ed acquistare presso la Domus Dei di Roma una statua in bronzo alta m. 1,72 raffigurante la Madonna Bruna con il Bambino. Anche davanti a questo piccolo luogo di culto, nel mese di maggio, devoti si riuniscono per recitare il Santo Rosario.
Una statua, in terracotta dipinta con ceramica smaltata, opera dello scultore Franco Trivellone è presente nella cappellina sita in Via Latina, 10 realizzata nel 1995; un analogo esemplare caratterizza la cappellina in via Selvidieri, 22.
Va, poi, notato che in alcune edicole devozionali, accanto all’immagine della Madonna di Canneto, siano presenti quelle della Santissima Trinità e di Padre Pio.
Avviandomi alla conclusione desidero ricordare alcuni pregi del volume, in primo luogo l’architettura ben concepita che permette al lettore di seguire, su due binari paralleli ma in continuo contatto fra di loro, il culto mariano esaminato attraverso le testimonianze di alcuni Santi, Padri e Dottori della Chiesa, Mistici e Papi e la sua storia a Canneto e la devozione all’interno della Comunità pedemontana. Questa, a mio giudizio, nel corso dei secoli dovette orientare tutta la sua devozione ed il bisogno di protezione verso la Vergine Nera, forse perché priva di un patrono veramente forte e direi “rassicurante” per la Comunità.
È un fatto questo che si ripete in più centri della Diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo ove il clero locale spesso nel XVII e XVIII secolo ma, in alcuni casi anche nell’Ottocento ed il mio pensiero va sùbito ad Alvito ed a Pescosolido, si rivolse a potenti cardinali romani pur di avere un corpo santo, estratto da una delle catacombe romane (San Callisto, San Lorenzo fuori le Mura, Santa Priscilla etc.) nella speranza di dare nuova linfa alla fede locale.
Fra i corpi santi, che non appartenevano a martiri della fede cristiana ma a semplici defunti inumati in cimiteri cristiani − ben noti alle autorità imperiali − quali erano le catacombe, conosciuti nella Diocesi ricordiamo Santa Colomba a Pescosolido, Sant’Onorio a Casalvieri, San Valerio ad Alvito, Santa Felicia ad Arpino etc.
L’accurata ricerca bibliografica condotta da Elena in vari centri lontani da Piedimonte San Germano (Anagni, Capua, Caserta, Frosinone, Roma, Sora) ha permesso di correggere alcuni dati erroneamente offerti dagli studiosi del passato e ripetuti, fino ai nostri giorni, senza quella ακρίβԑια (precisione, esattezza) che deve essere alla base di ogni ricerca storica.
Notevole, per qualità e numero di foto presentate, è l’apparato illustrativo che spazia dal paesaggio alle testimonianze archeologiche, dalle immagini provenienti dal mondo WEB alle numerose foto pubblicate per gentile concessione di sensibili cittadini di Piedimonte San Germano quali, ad esempio, Pietro Fordellone (fondamentali per avere un’idea della ricostruzione post bellica) e Salvatore Delicato (pellegrini che dormono all’interno del Santuario per motivi atmosferici ma che ci fanno tornare in mente la ben attestata pratica dell’incubatio di età romana), per proseguire poi con le importantissime foto concesse alla Montanaro da mons. Antonelli. Cito, ad esempio, quelle di pp. 172-173 che fermano, al 1972, la situazione dei locali che ospitavano gli ex voto e che restituiscono al Santuario una dimensione a misura d’uomo più cara a noi anziani. E ciò, pur ammettendo con le parole di mons. Dionigi Antonelli che, con la realizzazione della grande vetrata dietro l’altare maggiore, la splendida Natura del Parco Nazionale è entrata all’interno del Santuario.
Non possiamo poi dimenticare la bellissima cartolina a colori proveniente dalla Collezione di Cesare Borza di Atina, molto opportunamente scelta per la copertina.
Importante è stato anche il recupero di un acquerello dal titolo “Pellegrini a Canneto” di Domenico Biancale di Sora (1870-1964), opera ignota a quanti si sono, finora, occupati di Canneto e pubblicata nella monografia di Augusta Calderoni e Marcello Rizzello dedicata a Bernardo Biancale ed alla sua famiglia.
Altro merito va individuato nella capacità con la quale l’Autrice è riuscita a penetrare all’interno della Compagnia distribuendo, tra l’altro, un questionario “a risposta aperta o a scelta multipla” che le ha permesso di apportare nuovi dati sulla devozione alla Madonna di Canneto che, a mio modesto giudizio, saranno di base ad ulteriori studi.
Fra tutti emerge un elemento di grande rilievo quale l’elevato numero di giovani pedemontani che effettuano il pellegrinaggio e, soprattutto, il livello di studio che possiamo definire di livello medio-alto e che fa ben sperare sul proseguimento anche nei decenni a venire del pellegrinaggio.
Infine segnalo l’attenzione posta dalla Montanaro ai Battesimi, alle Prime Comunioni ed ai Matrimoni celebrati dai pedemontani nel Santuario di Canneto. L’uso di far amministrare il primo sacramento sotto lo sguardo protettivo della Vergine Nera risale al 1970, di far loro ricevere l’Eucarestia al 1982 e di celebrare il proprio matrimonio al 1971.
Detto del considerevole patrimonio illustrativo che rende senza dubbio, meno pesante la lettura del testo che, in alcune pagine, proprio per la natura stessa dei temi affrontati non è dei più facili da leggere, va elogiata l’impaginazione dovuta ad Orlando Montanaro ed i complessi indici per autori, per personaggi, per località citate e delle referenze fotografiche che rendono più agevole la consultazione dell’opera agli addetti ai lavori ed ai cittadini di Piedimonte San Germano. Quest’ultimi, oltre a ritrovarvi molti dei propri avi o dei parenti emigrati all’estero, potranno vedere spesso menzionato il loro nominativo e, non di rado, rivedersi in foto di diversi anni fa.
Per concludere si tratta di un volume che, oltre a coprire un vuoto considerevole nella storia civile e religiosa di Piedimonte San Germano, arricchisce significativamente la bibliografia del Santuario di Canneto, del Lazio meridionale ed, in genere, di quella mariana costituendo un modello anche per ulteriori studiosi che volessero tratteggiare la storia di altre Compagnie che si recavano nel passato o si recano ancora oggi a Canneto.
Infine un invito che nasce dal cuore e dalle devozione che nutro per la Madonna di Canneto: facciamo vivere la bella ricerca della Montanaro dando vita, caro don Tonino, ad una Raccolta che tratteggi la storia di questo culto in Piedimonte San Germano nel quale, come ampiamente ho cercato di dimostrarvi, si identifica gran parte della storia della Comunità pedemontana.
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