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Storia

Rocco Di Vizio racconta la guerra a Piedimonte S.G “Un aereo ha fatto fuoco su quella casa dove eravamo noi..”

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Nel giorno della sua scomparsa avvenuta oggi 19 dicembre 2o21, pubblichiamo la testimonianza di Rocco Di Vizio classe 1929 che ha raccontato le terribili vicende della battaglia di Piedimonte San Germano e dello sfollamento della popolazione civile. Il brano è tratto da : Piedimonte San Germano la piccola Montecassino. La guerra e la memoria (Associazione Antares 2009)

 

Era il mese di luglio del 1943 quando è stato bombardato il campo d’Aquino, ci sono stati due bombardamenti uno di notte ed uno di giorno. Io abitavo alla contrada “Varricella”, abbiamo visto tutto illuminato il campo d’aviazione, non sapevamo cos’era successo, io tenevo dodici, tredici anni; poi sono arrivate le fortezze volanti, questo lo abbiamo capito dopo, perché all’epoca non si sapeva, io da casa mia vedevo tutto .
Quando hanno illuminato il campo d’aviazione è arrivata una prima ondata, delle fortezze volanti, hanno bombardato scaricando moltissime bombe, poi hanno fatto il giro e subito se ne sono andate. I soldati Italiani che stavano al campo d’Aquino, se ne sono scappativerso la montagna, infatti la mattina la contrada “Varricella” era piena di militari, questi aerei hanno fatto due ondate di bombardamenti, scaricavano le bombe e scappavano, se ne andavano.
Il secondo bombardamento, sempre il mese di luglio, è avvenuto di giorno, infatti questa seconda volta ci siamo spaventati, è passata una squadra di aerei, che veniva da giù verso il mare, si sentivano i rumori delle bombe, “bum – bum – bum”, i nostri soldati italiani avevano fatto una strada in campagna, che portava verso “Castelluccio”, sotto grosse piante di quercia e così nascondevano gli aerei sotto queste piante in modo che non si vedevano dall’alto.

Mio padre si era molto spaventato dopo questi bombardamenti, allora c’era la grotta “Ciarita”, e quindi la notte noi non dormivamo più a casa nostra ma andavamo in questa grotta, dove c’erano tantissime famiglie rifugiate, era pieno di gente; non ci stava posto nella gratta “Ciarita” dormivamo in altre grotte che stavano lì vicino.
“Nelle” grotte ci stavamo solo la notte, ci portavamo anche qualcosa da mangiare, la mattina tornavamo a casa alla “Varricella”. Questo via vai da casa nostra alla grotta “Ciarita” è durato da luglio a settembre del 1943. In quel periodo di tempo, mia nonna paterna, Orazia, che non si era mai spostata da casa sua, chiamò mio padre e disse: “Vincenzino torna a casa che la guerra è finita”, era la sera dell’ 8 settembre 1943; lei con altri familiari non ci venivano in montagna a dormire nella grotta “Ciarita”, erano rimasti a casa, così noi tornammo a casa e dopo la guerra incominciò.

I tedeschi si erano fortificati, avevano costruito la linea Hitler, avevano messo sotto terra i fortini 3 per 4 d’acciaio da 10 cm; un fortino stava alla “Canalera”, un altro stava su Via San Pietro di fronte l’ ex chiesa di San Pietro ora abitazione, un altro ancora stava più giù. Le postazioni della linea erano costituite delle casematte, a fianco c’era una postazione più piccola dove i Tedeschi andavano a sparare, c’erano delle aperture in modo orizzontale, delle bocchette, questo lo abbiamo visto dopo la guerra.
Dopo l’8 settembre 1943, a Piedimonte non c’erano bombardamenti, era tutto tranquillo, però i Tedeschi si stavano fortificando, infatti requisivano gli uomini civili e gli facevano fare i bunkers e scavare dei grossi fossi, stavano terminando la linea Hitler.
Il fronte stava giù verso Capua, noi non ci siamo preoccupati di questa situazione perché dicevano che in una settimana sarebbe finito tutto e quindi siamo rimasti a casa. E’ stata fortificata la zona ed a un certo punto ce ne siamo dovuti andare in montagna, perché a Piedimonte non si poteva più stare, era pericoloso eravamo stati avvisati dai Tedeschi, e abbiamo cominciato a salire finché siamo arrivati a “Forca Cerasa”. Così, io con tutta la mia famiglia ci siamo sistemati in alcune vecchie abitazioni, lì c’erano alcuni abitanti di Terelle che erano amici del mio parente Francesco Di Murro.

A “Forca Cerasa”, avevano formato una piccola banda di partigiani, era stata fatta da due o tre persone di Pignataro: c’era uno che si chiamava Bernardino di Pignataro (Pignataro Interamna) poi c’era il mio parente Francesco Di Murro, Giulio Bellini, Giuseppe di Ciancio ed altri.
Io ho visto con i miei occhi che alcuni Tedeschi salivano dalla Villa (Villa Santa Lucia) verso dove stavano noi, salivano dalla “Cicogna”; a me chi mi ha salvato è stata mia nonna materna Maria Grazia, poco più sotto da dove ci eravamo sistemati, c’era un piccolo terrenocoltivato a mais, e noi spesso ci andavamo a nascondere in mezzo a queste piante di mais. Questo Bernardino di Pignataro, quando i Tedeschi stavano a poca distanza ha dato una raffica di mitra, però non ha ucciso nessun tedesco, gli ha sparato davanti, i Tedeschi si sono spaventati e se ne sono scappati giù da dove venivano; dopo circa una mezz’ora, è successo il finimondo, i Tedeschi era tornati con i rinforzi, hanno cominciato a sparare e a gridare. Quelli della banda se ne sono scappati, i Tedeschi salivano e sparavano, così noi ce ne siamo scappati a “Frezza” e la banda se ne era scappata alle “Sette Aie”.
A “Forca Cerasa” erano rimaste alcune signore anziane di Piedimonte che avevano i figli malati di tifo, la banda di Pignataro aveva lasciato un tascapane (zaino) dove dentro c’era del pane, salsicce, sale, ecc. c’erano delle cose da mangiare, le signore rimaste lì dicevano “camerata questi sono soldati Italiani non c’entriamo noi”, e siccome avevano trovato questo tascapane, i soldati Tedeschi ci hanno creduto. Qui c’era un bosco e c’erano 500, 600 capi di bestiame, di ogni tipo, che la gente di Piedimonte e Villa ci aveva portato, i tedeschi hanno preso tutto; c’era anche Biagio Pelagalli, faceva parte della banda, questo calzava degli stivali gialli. Così i Tedeschi hanno preso mio cugino Attilio Di Murro altre due persone e Biagio Pelagalli che poco lontano da lui c’era una pistola a terra, gli hanno fatto rastrellare tutti questi capi di bestiame e sono scesi giù verso Villa. Arrivati giù al paese, ad Attilio Di Murro e gli altri due li hanno mandati via, mentre a Biagio Pegalli lo hanno trattenuto, gli hanno fatto scavare un fosso, la gente gli diceva “scappa, scappa” però non poteva scappare perché i tedeschi gli avrebbero sparato; e dopo lo hanno impiccato ad una pianta in piazza a Villa (Villa Santa Lucia) ed è rimasto così per due-tre giorni.
Tutti questi fatti sono avvenuti intorno al mese di novembre-dicembre del 1943, noi quando siamo andati via da “Forca Cerasa” ci siamo fermati alla contrada “Forma” di Colle San Magno, ci siamo sistemati in una casa che stava là, dopo è arrivata tanta altra gente e siccome nella casa non c’era posto, hanno fatto vicino a questa casa dei pagliari, delle baracche, per avere un riparo, qui c’erano tante famiglie di Piedimonte.

Un giorno sono venuti due Tedeschi, siccome noi tenevamo una moletta a mano per fare la farina, si volevano far fare la farina, mio padre gli disse “tornate domani a prenderla”; ad un certo punto è passato un aereo, ha visto i tedeschi, si è abbassato e ha fatto fuoco su quella casa dove eravamo noi, non ci furono morti ma diversi feriti. Dopo questo episodio siamo scappati dalla “Forma” e sempre per vie di montagna siamo andati a Santopadre.
Per andare a Santopadre abbiamo percorso una stradina che da Terelle porta a Roccasecca, ad un certo punto, lungo questa stradina abbiamo incontrato 4-5 tedeschi, erano sdraiati e si stavano riposando, è passato prima mio padre e non gli hanno detto niente, quando siamo passati noi che eravamo una cinquantina di persone, hanno cominciato a sparare, una scheggia ha ferito mia sorella Elena ad un piede; allora zio Antonio Marchetti che era con noi, ha cominciato ad esclamare “camerata noi siamo sfollati, tifo, tifo”, i Tedeschi se ne sono scappati, così siamo arrivati al paese di Santopadre. Lì siamo stati accolti da una famiglia, lì non c’era la guerra si lavorava tranquillamente, non c’erano Tedeschi gli ultimi li abbiamo incontrati a Roccasecca; ci hanno fatto alloggiare in una stalla, dove abbiamo fatto un pagliariccio per dormire.Mio padre a Santopadre, andava a lavorarein campagna, e in cambio gli davano delle cose da mangiare. Io da Santopadre andavo ad Arpino a prendere il pane che ci spettava con la tessera, a Santopadre siamo rimasti fino ai primi mesi del 1944.
Un giorno si è saputo che il fronte di Cassino era stato sfondato, così noi ci siamo avviati da Santopadre per tornare indietro a Piedimonte, siamo arrivati al ponte sul Melfa che era distrutto, abbiamo attraversato il fiume passando nell’acqua e siamo arrivati a Roccasecca in paese lì dove inizia la strada che porta a Colle San Magno, avevamo un po’ di farina rossa (di mais) e abbiamo cucinato la polenta ed abbiamo mangiato insieme alle altre persone che erano con la mia famiglia. A Roccasecca non c’erano più i Tedeschi, erano arrivati gli Americani, siamo rimasti lì per qualche giorno, dopo gli Americani sono venuti con dei camion ci hanno caricato e siamo scesi verso la Casilina, diretti a Capua, sul camion eravamo una ventina di persone.
Nel tragitto da Roccasecca a Capua non ci sono stati bombardamenti, così siamo arrivati a Capua in un campo d’accoglienza, dove ci hanno fatto lavare, ci hanno dato il cambio dei vestiti, ci hanno disinfettati, e poi da Capua ci hanno dato la destinazione per Cosenza, abbiamo viaggiato sempre con i camion senza fare nessuna sosta; ogni tanto ci davano qualcosa da mangiare.
Arrivati a Cosenza all’ospedale siamo rimasti per 2-3 giorni, poi ci hanno dato un’altra destinazione, a noi ci hanno detto che dovevamo andare a San Demetrio Corone, così sempre con i camion ci hanno portato in questo paese. Qui ci hanno fatto alloggiare in una grossa stanza di un edificio pubblico, eravamo tutti insieme, In questo paese non ci siamo trovati bene, la gente del posto non ci ha accolto volentieri, ci trattavano male, non eravamo ben visti. Allora un giorno siamo scappati, abbiamo preso un carretto con un cavallo e siamo andati a Pisticci in un campo dove c’erano i detenuti politici, questi ci hanno accolto volentieri, la gente del posto a Pisticci non c’era, erano tutti sfollati; erano rimasti solo quei detenuti politici comunisti del Nord ed una guardia. A Pisticci noi non lavoravamo, ci davano tutto il necessario quei detenuti politici da mangiare, da bere, era il periodo di giugno-luglio 1944.

Dopo, a Pisticci venne mio cugino Attilio Di Murro ed io insieme a lui abbiamo preso il treno e siamo tornati a Piedimonte, il resto della mia famiglia era rimasta là. Con il treno siamo scesi alla stazione di Cassino e poi a Piedimonte dove siamo andati a casa di mio cugino Attilio che abitava “alla mazzatora” Via Selvidieri. Lui, con il fratello Edoardo ed il padre Francesco, si facevano prestare i camion da Ferrante di Frosinone e andavano a comprare ogni cosa che serviva per mangiare, vino, pasta, fagioli, pane, ecc. verso il Sud in Calabria, in Basilicata, tutte queste masserizie le portavano a Piedimonte e poi le rivendevano. A Piedimonte c’erano poche persone, qualcuno cominciava a tornare dallo sfollamento.
Io, a Piedimonte stavo “alla mazzatora” insieme con Attilio, dove c’era la casa che non era stata distrutta dalla guerra. Dopo poco tempo, io ed Attilio, siamo andati a prendere il resto della mia famiglia che era rimasta a Pisticci, arrivati a Piedimonte i miei sono andati ad abitare in una casa dei Sacco in Via Venezia, la casa che tenevamo alla “Varricella” era un cumulo di macerie, quando è tornato mio padre abbiamo cominciato a risistemarla alla meglio. Mio padre quando eravamo a Pisticci aveva visto come si facevano “i canali” (coppi). Così un giorno ci ha portato sopra Piedimonte al serbatoio a prendere l’argilla, ha fatto una specie di fornace e ci ha essiccato molti coppi, la forma per fare questi coppi se l’era portata dietro da Pisticci. Così abbiamo coperto il tetto della nostra casa con i coppi che avevamo fatto, ovviamente c’era quello cotto di più e quello di meno, dopo ci volevamo trasferire da Via Venezia a casa nostra, però prima del trasferimento è venuto a piovere e questi coppi si sono spaccati tutti cadendo a terra, per fortuna che non eravamo entrati perché ci potevamo rimanere sotto, così i miei familiari decisero di rimanere nella casa dei Sacco in Via Venezia.

A Piedimonte alla fine del 1944 quando noi siamo tornati dallo sfollamento c’erano poche persone, il centro di Piedimonte Alta era tutto distrutto, un cumulo di macerie. Mio padre a Piedimonte lavorava, perché chi doveva rifare la casa, chi dove fare altre cose, si trovava sempre qualche lavoro.
Sarà stato all’inizio del 1945 che mio padre aveva ricostruito la casa, avendo avuto anche un piccolo contributo dallo Stato.

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